LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

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La rivolta delle buattepubblicato su: LE FATE | Settembre - Ottobre 2012
Tutto avvenne in un grande magazzino italiano di una città che non ricordo, in un tempo lontano che fu; una vicenda che ancora tutti chiamano la rivolta delle buatte. In quell’epoca comandavano i “catalogatori”, una sorta di super uomini, terribili aguzzini impietosi e cattivi che avevano potere di vita e di morte sulle cose e sulla gente. Seguaci della corrente filosofica “Mondo-Buatta” loro ritenevano che tutto ciò che esiste in natura, ma proprio tutto, può e deve essere imbuattato: etichetta bene in vista et voilà. Abbasso le sfumature, le piccole differenze, le minuterie esistenziali e quegli insopportabili distinguo. Dai profumi alle stoviglie, dai cibi ai sentimenti, dagli uomini ai libri, ai sogni, ai cd ogni cosa doveva essere confezionata dentro questi contenitori cilindrici e luccicanti; così, per semplificare la vita, uniformare, per rendere tutto più ordinato, facile da scegliere, da capire, da gestire. Quindi si crearono centri commerciali dove ogni reparto aveva la sua bella scritta in alto che indicava il genere: PROFUMI, STOVIGLIE, CIBI, SENTIMENTI, AMICI, PARENTI, FIDANZATI….Una buatta per tutto, tutto in una buatta. Era perfettamente inutile che tu ti credessi un poeta o un musicista o un grande architetto…I catalogatori ti esaminavano e spesso andavi a finire nella buatta “scarparo”, “zappatore”, “mendicante”…
Nella zona dei dischi pare ci fosse un reparto bello, ricco, profumato con l’insegna vistosa ed elegante : “Cantautori italiani”. Era l’invidia di tutti. Le buatte qui erano preziose, pregiate; quasi avevi paura a toccarle; come se dentro ci fosse oro. L’etichetta appiccicata recitava: Prodotto poetico rigorosamente in lingua nazionale. Molto più in là, invece, in un angolo buio, dismesso, del negozio, dove olezzi forti e malandrini si propagavano nell’aria (del tipo tuma ragusano, capperi di Pantalica, cozze di Messina…) campeggiava un’altra insegna misera, scritta a mano, col pennarello: “Memorie e souvenir”. Queste buatte erano impolverate e stantie; se non fosse stato per qualche curioso turista che di tanto in tanto si fermava ad osservare e a portarne via qualcuna, erano lasciate al più squallido abbandono. Nell’etichetta tra la polvere potevi intravedere friscaletti, tamburelli, carrettini colorati, e titoli di grande ingegno e fantasia: Sicilia amara; Sicilia profumata; Sicilia amuri miu; Sicilia ‘mbalsamata, Sicilia sbriugniata; perfino Sicilia Sicilia, il più ardito. Pare che una notte, quella notte, a negozio chiuso, una buatta dei souvenir, presuntuosa, scattiata e ribelle di natura, abbia tentato di lasciare il proprio reparto, per rotolare giù fino a quello dei Cantautori. Per fortuna che il silenzio venne squarciato dal feroce suono delle sirene dell’allarme; accorsero veloci le guardie. Meno male! Sarebbe stata la fine di quel sistema e l’inizio del declino del Mondo-Buatta. Si racconta che la buatta ribelle implorasse in lacrime i vigilantes: “Io non sono un souvenir, lasciatemi stare; sono una buatta diversa; i catalogatori hanno sbagliato. Il mio posto è nello scaffale Cantautore. Sì è vero, utilizzo il siciliano per i miei testi, ma non faccio folklore; scrivo canzoni nuove, parlo del disagio dei giovani di oggi, parlo d’amore e di rabbia, del mondo nuovo, usando una lingua antica. Che c’entro io con Ciuri Ciuri?!” Le guardie dapprima l’ascoltarono, poi diffidenti le chiesero di vuotare il sacco, pardon la buatta, per analizzarla a dovere. Ebbene sì, dovettero ammettere contrariati: gli ingredienti risultavano perfettamente uguali; due gocce d’acqua. Stesso pomodoro, stesso formaggio, stesso sale, stesso pepe, stesso tutto rispetto alla buatta Cantautore, anzi in qualche caso anche meglio. Ma ci doveva pur essere una differenza, se il catalogatore le aveva relegate lì in fondo allo scaffale polveroso. La pronuncia!!! eccola la differenza! La sostanza era uguale ma qui si chiamava tutto in un altro modo; in questa buatta i componenti erano pumaruoru, furmaggiu, salifinu e pipiniuru. “Eh, no! –obiettò il maresciallo con un ghigno sul muso – Non ci siamo! Sembrano uguali, ma la buatta di CANTAUTORE è preziosa proprio perchè è in italiano; la lingua della TV, della radio e del parrino quando dice la messa. Che minkja è questo dialetto?! Lingua di viddhani è, di ‘gnuranti, di miserabili. Non sarà mai una lingua di prestigio; mia madre, bon’armuzza, mi prendeva a scorci di collo se me ne sentiva pronunciare anche una sola parola. Un cantautore che si rispetti, anche se non dice niente di nuovo e di bello, anche se canta minkjate perfettamente inutili e mediocri è sempre meglio di un cantante dialettale. Che la buatta ritorni immediatamente al suo scaffale!” urlò, e non ci furono cristi.

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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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